Le ragazze sono sulla metropolitana. Hanno entrambe i capelli acconciati in due trecce, una gonna marrone, un improbabile corpetto alla tirolese color cipria e un finto paniere di vimini con un noto marchio aziendale. Sono state tutto il giorno in strada come promoter e sono svaccate sui sedili della metro, i piedi sollevati e – presumibilmente – in fiamme.
Un ragazzo dall’aria volpina si avvicina e cerca di stabilire una conversazione con una delle due. La ragazza sulle prime risponde con gentilezza, come a tutte noi verrebbe spontaneo fare perché da piccole ci hanno insegnato che si risponde sempre educatamente, soprattutto se si è femmine. Poi il ragazzo si fa insistente e lei diventa elusiva.
Il ragazzo fa commenti sulla lunghezza delle loro gonne e l’amica spiega che si tratta di un costume per una promozione commerciale.
Il ragazzo si protende verso la bionda e le chiede se quella sera è libera. Le due, ritraendosi, dicono che sono stanche morte dopo una giornata di lavoro e vogliono solo andare a dormire.
Il ragazzo, sempre più vicino, insiste per farsi lasciare il numero di telefono, finché la ragazza presa di mira non dice rapida che ha un fidanzato. Le due lasciano improvvisamente il vagone, con uno scatto felino che lascia il tipo di stucco e che mi fa pensare che siano state infastidite molte altre volte.
Quando le due ragazze sono ormai sparite, il molestatore si volta verso un gruppo di maschi – evidentemente degli amici che gli tenevano bordone – e commenta l’episodio. Cominciano una cagnara rivoltante da cui si evince che, chiaramente, le due erano troie [slut], che avevano fame di eccetera eccetera, che se solo fossero rimaste sul mezzo per un’altra fermata la bionda sicuramente gli avrebbe dato il numero, e che comunque è da troie aspettare la fine della conversazione per tirare fuori la scusa del moroso. Li sento ancora berciare a Union Station, dove il treno si svuota. Sto bene attenta a infilare un’uscita completamente diversa dalla loro, anche a costo di dovermi fare un chilometro e mezzo di strada in più.
Mi capita spesso di pensare che cosa induca gli uomini a pensare che atteggiamenti simili possano essere graditi o anche solo socialmente accettabili. Poi leggi una cosa così e capisci che non c’entra niente il desiderio, la voglia, o anche la disperazione di qualcuno che non ha la morosa dai tempi del primo esecutivo Berlusconi. Capisci, insomma, che non c’è niente di capire.
Poi leggi che nel quartiere dove hai abitato per due anni, vicino al parco dove sei solita andare ad allenarti la domenica, nella strada dove c’era il tuo caffè preferito e dove andavi a correre anche alle otto-otto e mezza di sera, ci sono stati sette stupri consecutivi nell’ultimo mese e mezzo, presumibilmente seriali. E che altre donne stanno cominciando a parlare, dopo la conferenza stampa della polizia, per cui il numero delle violenze non è ancora definitivo. E che lo stupratore non è stato ancora identificato. E ti caghi in mano pensando che in quella strada, in quel cespuglio, ci potevi finire tu.
Per finire leggi che un’altra donna, nipote del sindaco di Toronto e figlia di un altro consigliere comunale, sul suo account di Twitter ha commentato la notizia invitando le donne a “girare in gruppo, portarsi dietro il Mace (uno spray al peperoncino che tra parentesi è pure proibito NDR), prendere lezioni di autodifesa e non vestirsi come delle ‘troie’”. Notare che, tra tutte le parole che l’inglese ha per esprimere il concetto, l’eloquente twitteratrice ha usato la più pesante. “Whore”. Non per nulla siamo a Toronto, la città dove è nata l’idea delle ‘slut walk’, in risposta a un episodio simile (l’ufficiale di polizia che, in una conferenza stampa, invitava le ragazze a non vestirsi come delle “sluts”, appunto). Una delle vittime ha risposto pubblicamente alla twitteratrice, con un coraggio e una lucidità notevoli, mentre le dichiarazioni di quest’ultima (de cuyo nombre no quiero acordarme) sono rimbalzate un po’ ovunque, associate alla spazzatura cui evidentemente appartengono.
Sono una ragazza carina, giro sempre sola, e non ho un fisico che incuta timore. Ma non è per questo che mi è capitato di essere infastidita da perfetti sconosciuti, qualche volta al punto da averne paura. È perché c’è una cultura di maschilismo che giustifica, se non lo stupro, le sue premesse. Non voglio indulgere alla pratica (invalsa in certi ambienti femministi nordamericani) di equiparare tutto a uno stupro, perché se c’è una categoria comunemente abusata in questi anni è quella di trauma, e invece penso si debba avere l’onestà intellettuale di separare i traumi veri da quelli simulati, o metaforici. Ma penso che sia troppo comodo pensare che lo stupratore sia solo il maniaco che si nasconde dietro la siepe, o, eventualmente, il poliziotto conservatore ancora convinto che la minigonna sia, se non proprio una “giustificazione”, una “provocazione”.
Ho lavorato, per un periodo abbastanza lungo, in ambienti dove la molestia era quasi una malattia professionale. Alle prime sessioni eravamo istruite su tutti i comportamenti provocatori da non tenere, sull’abbigliamento da evitare, sul fatto che qualsiasi gesto familiare o amichevole avrebbe potuto provocare una molestia. Effettivamente io andavo in giro con uno scafandro addosso. Il mio moroso di quel periodo non sapeva se ridere o piangere quando mi vedeva uscire di casa. Il fuoco della formazione, ovviamente, eravamo noi ragazze, e in parte si tratta di un atteggiamento comprensibile: se sai che vivi in un mondo di merda ti proteggi, cerchi di non dare alibi, di non diventare un’esca. Ma il passo da “meglio essere prudenti perché questo è un brutto mondo” a “se ti succede vuol dire che te la sei cercata” è sempre breve, troppo breve. Del resto, quando episodi spiacevoli avvenivano (di qualsiasi livello o “gravità”), a farne le spese era più spesso l’operatrice (o la volontaria) che il diretto responsabile.
Stupro?
No.
Maschilismo, e una cultura che colpevolizza, biasima ed emargina sempre e comunque la donna?
Sì. Decisamente.
Mi è anche capitato di essere infastidita in occasioni che volevano essere sociali o divertenti, dove qualche persona con evidenti turbe psichiche mi ha fatto pentire di non essere rimasta a casa (il posto dove, evidentemente, una donna che non abbia un compagno o marito pronto a proteggerla deve starsene rintanata). E mi è anche capitato che gli amici che mi accompagnavano non si siano resi conto del mio disagio ma anzi, mi abbiano preso in giro per le mie “conquiste”, tra fragorose pacche sulle spalle e risate complici”, come se essere smanazzata da un estraneo su una pista da ballo o sentirmi alitare in faccia da un ubriaco costituisca chissà quale balsamo per la mia già fragile autostima.
Stupro?
No.
Maschilismo, e una cultura che emargina e colpevolizza la donna?
Sì. Decisamente sì.
Perché l’implicazione, condivisa anche da tanti uomini e donne che si ritengono di sinistra colti e scafati, è che se uno ci prova in fondo ti sta facendo un complimento, e che l’attenzione sessuale sia sempre un gentile omaggio e debba essere sempre e comunque gradita. Che se ti infastidisce è perché ci hai dei problemi. E che comunque sono cose di poco conto, che in fondo se ti poni correttamente certe cose non succedono, che se ti vesti decentemente certa gente non ti nota.
E il problema non è solo lo stupratore (anche perché, come sappiamo, lo stupro non è un atto sessuale, è un atto predatorio), il problema sono tutte quelle persone, lì attorno, che pensano che urlare qualcosa a una donna dai finestrini di un’auto o farle un apprezzamento viscido in fila dal macellaio, o sedersi di fianco a lei mentre scrive in un bar senza essere invitati e cominciare a farle domande insistenti siano comportamenti tollerabili, o comunque non così gravi. Sono tutte quelle persone, donne e uomini, che dicono che l’uomo è cacciatore, che se esci e ti ubriachi lo fai apposta per farti trombare contro un muro mezza tramortita, che se sei svenuta e qualcuno ti violenta te la sei cercata, che se il tuo partner, anche occasionale, insiste per avere un secondo rapporto non protetto e lo fa a tradimento mentre dormi, te la sei cercata perché prima hai avuto un rapporto consensuale e protetto (mi riferisco alle disgustose dichiarazioni di questo parlamentare inglese, che sono gravi indipendentemente da come la si pensi sul caso Assange. Una frase come «I mean, not everybody needs to be asked prior to each insertion» si commenta da sola).
Tutti stupratori?
No.
Tutti complici di una cultura di maschilismo che permette lo stupro?
Forse.