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il pci ai giovani, il potere ai vecchi [9 luglio 2009]

In malatempora on novembre 16, 2011 at 1:59 am

Di Pier Paolo Pasolini (l’autore più citato e meno letto del Secondo Dopoguerra), tutti ricordano solo due cose. La prima è la sua morte, riletta di volta in volta in chiave dietrologico-giudiziara o in chiave psicologica-omofobica, sempre badando a trasformarla nel telosdi un’intera attività artistica e critica: variante particolarmente grossolana dell’escatologia interpretativa del «Pasolini profeta».
La seconda è quella poesia che fu scritta per Nuovi Argomenti all’indomani degli scontri di Valle Giulia e fu poi “proditoriamente” venduta a Panorama (il giudizio è dell’autore, non mio). Una poesia che andrebbe inserita nel contesto dei suoi tempi, come il titolo stesso, ripreso nel verso conclusivo, dimostra: IL PCI AI GIOVANI!!: difficile accostarla a un tempo in cui il PCI non esiste e “comunista” è poco meno che un insulto. Perciò fa sempre un effetto strano ritrovarne i versi, stravolti e semplificati, in bocca a chiunque voglia stigmatizzare «quei selvaggi di studenti che fanno casino». Magari solo per difendere il proprio sacrosanto diritto a salire su un tram.
Cito, a titolo di esempio, lo stralcio di un commento apparso sull’edizione locale del quotidiano online la Repubblica, a firma elipsos, relativo alle proteste studentesche di Bologna, in data 07.07.09:

Ma questi “studenti” dell’Onda quando studiano? Da quel che si legge sono sempre a fare cortei, malmenare gente, insultare, occupare l’occupabile, imbrattare muri. E a pagare sono sempre i più poveri: poliziotti che per quattro soldi mettono a rischio la loro vita per placare la furia di questi balordi, utenti del trasporto pubblico bloccati sugli autobus, studenti (quelli veri) che si ritrovano con le aule inutilizzabili e i locali occupati distrutti e imbrattati (che vanno risistemati con i soldi delle loro tasse).

Di esempi se ne potrebbero citare molti, quasi tutti riferiti alle proteste studentesche; alcuni mesi fa, addirittura, la versione cartacea di Repubblica riportava un’intervista lunga e interessante a un poliziotto, interamente ispirata al «teorema Pasolini», chiamiamolo così.
Per chi la cita così, il senso di quella poesia diventa più o meno questo: i polizziotti (con due zeta, si capisce) so’ poracci che rischiano la pelle pe li capricci de quattro stronzetti fiji de papà.
Dimenticando, troppo comodamente, che nell’Italia degli anni Sessanta, andare all’Università era davvero un privilegio, e difficilmente un figlio di operaio poteva varcare la soglia della Facoltà di Giurisprudenza o, poniamo caso, Architettura. Dimenticando che l’Italia di quei versi, come intuito e denunciato dallo stesso Pasolini, oggi non esiste più:

Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.

Quelle periferie, che Pasolini descriveva così bene, sono retaggi di alterità, già allora fortemente minati dal «genocidio culturale» (altra espressione pasoliniana). Oggi, la casupola tra gli orti è stata rasa al suolo: al suo posto un casermone di cemento, irto di parabole satellitari.

Leggendo IL PCI AI GIOVANI!! con cognizione di causa, risulta evidente come a Pasolini non premesse tanto “assolvere” i poliziotti, quanto stigmatizzare gli atteggiamenti piccolo-borghesi e prepotenti di quei contestatori, in ritardo sulla storia e persi in una lotta generazionale interna alla classe borghese. «Paurosi, incerti, disperati», eppure capaci di prepotenza,: come il Pietro di Teorema, come il Figlio di Porcile.
«Buona razza non mente» è il rimprovero rivolto a quei ragazzi: e forse a ragione, se si contano le schiere di quanti, con le ganasce piene di anatemi contro il sessantotto, oggi militano alla corte di Re Silvio.

Quel che mi sento di affermare con certezza, è che Pasolini non volesse giustificare l’incompiuta democratizzazione della Polizia di Stato e delle forze dell’ordine, uno dei peggiori effetti proprio di quella separazione di classe, tra un corpo militare rimasto «sottoproletario» e una classe di potere rimasta borghese prima durante e dopo il Sessantotto, nemmeno scalfita da quello che, a lui, appariva come un semplice ricambio generazionale.

E da qui a giustificare qualcuno perché «di tanto in tanto perde la pazienza» e mena, o peggio spara, ne corre… Perché nessuno può essere assolto o giustificato dalla propria povertà (nella mia famiglia, che viene da case rosse non dissimili da quelle dei poliziotti di Pasolini, nessuno ha mai menato o sparato, preferendo darsi a lavori come il muratore, il ciabattino o l’escavatorista). Men che meno si può giustificare chi potra una divisa e ha l’altissima responsabilità (e l’onore, aggiungo io) di rappresentare le istituzioni. Perciò episodi come quelli di Bolzaneto e della Diaz, l’uccisione di Federico Aldrovandi o le decine di trattamenti razzisti inflitti in caserme e questure a persone di colore, non meritano alcuna difesa. E soprattutto, non meritano che si scomodino le parole di Pasolini, unite al facile moralismo contro i figli di papà.

E poi, guardiamoli, questi neo-laureati del 3+2, che arrivano alla Laurea con uno stuolo di parenti di ventesimo grado, le zie dalla Puglia e i cugini dal Triveneto, le nonne coi lucciconi e le mamme con lo strascico, gli amici co’ le birre e i padri in estasi per il «figlio dottore», spesso il primo della famiglia.
Guardiamoli, con ‘sto pezzo di carta straccia, da appendere in una bacheca e dimenticare, perché poi, per trovare un lavoro, ci vuole ben altro… vi sembrano così «prepotenti, ricattatori e sicuri»? Non vi pare che forse, oggi, Pasolini simpatizzerebbe per questi studenti?